“Dicci, Rampelli, che ci mettiamo nella proposta di legge per difendere la lingua italiana?”
“A chi utilizzerà il termine computer più di una volta alla settimana andrà una multa di mille euro.”
“Era ora!”
“Ventimila euro di multa a chi dice social network almeno una volta al giorno!”
“Bravo, questa è un’ottima idea!”
“Non si potrà più dire gay, solo ricchione, sia per i maschi che per le femmine!”
Applausi.
“Ti sbagli, caro collega, i ricchioni li aboliremo!”
“Bravo! Finalmente!”
“Non sono d’accordo, teniamoli, li manderemo nei campi a raccogliere i pomodori quando avremo rimpatriato tutti i negri!”
“Eh, potrebbe risollevare l’economia…”
“Vi ricordo che questa è la riunione per la difesa della lingua nazionale, quella sul bilancio è alle 17.30 nella sala Welfare State.”
“La sala Welfare State? Blaaaaa Blaaaa blaaaa.”
“Aboliamo anche il welfare state!”
Applausi.
“Forza, avanzate nuove proposte!”
“Chi utilizzerà le parole made in Italy andrà in esilio!”
“Questo non si può fare, con le parole made in Italy ci abbiamo chiamato un ministero.”
“Porca troia!”
“E con Establishment che si fa?”
“Regards.”
L’ho immaginata più o meno così la conversazione tra altissime personalità dello Stato mentre consideravano di ripulire dai termini stranieri la lingua utilizzata nella pubblica amministrazione e forse nell’Italia intera.
Generalmente certe brillanti iniziative possiedono l’unica utilità di essere fuorvianti, di distrarre l’attenzione da alcune questioni che la Politica affronta. Confido che non sia il caso dell’Onorevole Rampelli e del governo che sostiene. Tuttavia, la lingua è una parte importante dell’identità dei popoli, della loro storia. La si può difendere sostenendo concretamente la scuola pubblica.