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Ho indugiato prima di esprimermi riguardo a Diamanti, il nuovo film di Ferzan Ozpetek.
Sono uscito dal cinema deluso, ho aperto il portatile consapevole del rischio che si corre nel trattar male l’opera di un divo amato e popolare come il regista turco. Critica accreditata e ammiratori ti aspettano appostati sull’altra sponda. Tuttavia l’acqua in mezzo era agitata.
La trama ci dice che due sorelle dirigono nella Roma degli anni settanta una sartoria che produce abiti per cinema e teatro. L’organico è composto quasi esclusivamente da donne. I pochi uomini che sfiorano le scene sembrano passare di lì per mostrare i muscoli ben distribuiti e gli occhioni da soap opera. Se c’era l’intenzione di spostare sugli uomini l’utilizzo strumentale che viene spesso fatto dell’immagine delle donne, la provocazione è riuscita male, ammanta i personaggi femminili di copiosa superficialità. Ozpetek compare varie volte in immagini da metacinema in cui si confronta col cast sul film che intende fare. Anticipa già in una scena a monte, mentre brinda con le attrici, che le donne saranno protagoniste. Purtroppo costruendo questo protagonismo tira dentro una fastidiosa quantità di stereotipi al femminile, politicamente deboli, talvolta offensivi. L’amore perduto e strappalacrime, il dolore luttuoso, la prevaricazione di mariti violenti, la sapienza culinaria, le difficoltà nell’essere madri vengono buttati nella mischia come se bisognasse offrire di tutto un po’ a prescindere dall’obiettivo narrativo. I dialoghi sono saltuariamente piatti, le espressioni noiosamente meste, i silenzi monchi. Le musiche tentano di suggerire qualche emozione, ma sono invadenti, finiscono per appesantire. Le vicende dei vari personaggi stanno insieme, ma c’è forzatura nella coralità. Tra le attrici e gli attori il talento abbonda, ma è talento sprecato.
Ne ho visti eccome film di Ozpetek, e confermo una considerazione maturata seguendone la carriera: se si fosse ritirato dopo Le fate ignoranti, celebreremmo un grande regista. Oggi Ferzan Ozpetek si celebra da solo, magari si basta.