Se Filippo Turetta, l’uomo che ha ucciso Giulia Cecchettin, si fosse suicidato dopo aver commesso il mostruoso delitto, la mia coscienza ne avrebbe giovato. Contrario alla pena di morte, mi sarei sentito sollevato realizzando che l’assassino avesse fatto autonomamente ciò che mai uno stato democratico dovrebbe fare.
Tuttavia uno stato democratico dovrebbe smetterla di disinteressarsi davanti all’ennesima inaccettabile violenza, all’ennesima vittima. Conosciamo bene le dichiarazioni replicate a ogni nuovo assassinio, a ogni nuovo stupro, davanti a ogni umana nefandezza, buone per dissociarsi e lasciare che tutto prosegua, che niente cambi. Non è questione di colore politico: di omicidi e violenze di genere la storia italiana è piena, e non ricordo un intervento concreto ed efficace da parte delle istituzioni. Le maggior parte delle “famiglie” è inadeguata all’educazione dei figli perché i genitori crescono affidati alla cultura della sopraffazione. Senza educazione al rispetto non si può insegnare il rispetto, non ci si può aspettare il rispetto.
Mettiamo al mondo e prepariamo alla vita mostri fragili, incapaci di analizzare e gestire la frustrazione, incapaci di accettare il rifiuto, che reagiscono in maniera feroce al disagio covato. Dobbiamo vergognarci di essere uomini scoprendo orrori come quello toccato a Giulia Cecchettin? Sì se per evitare l’ultima tragedia, e la prossima, non abbiamo fatto tutto ciò che è nelle nostre possibilità di uomini tra gli uomini. Ma quando pure facessimo tutto quanto è nelle nostre possibilità, sarebbe insufficiente. Augurarsi che la Giustizia proceda, è insufficiente. Augurare, in un moto di rabbia, la morte al mostro, è insufficiente. Abbiamo bisogno dello stato, nelle leggi e nella formazione, e non possiamo più permetterci di rimandare.